LA CASA DI ALPIGNANO, I TALLONE, GLI ANTENATI, GLI AMICI 

Tutti i personaggi sono reali.
Di Gigliola Tallone

 


Guido Tallone, la casa di Alpignano coi Tamerici in fiore

“E coi minuti piccoli in lor velocità passano gli anni e i secoli e poi l’eternità”
Filastrocca della Famiglia Artistica menzionata spesso da Cesare Tallone

 Mio zio Cesare Augusto Tallone descrive Sibilla Aleramo come “incantevole vestale dai lunghi silenzi meditativi”, lei, amica sollecita e carissima, definisce noi Tallone: “una delle più singolari famiglie ch’io abbia incontrata”. (dai Diari di Sibilla Aleramo, per concessione della Prof.ssa Anna Folli e ed. Feltrinelli) 1)
Se fossi qui davanti a me Sibilla, ti direi forse che sei un’adulatrice? Non lo potrei dire, la mia famiglia è davvero singolare, e comincerò dal principio.
Mia nonna Eleonora riceve in dote la casa di Alpignano, con terreni annessi ed altri collinari, da sua madre Paola Tarizzo Borgialli che l’aveva avuta in dote da sua madre Virginia Jaquet e lei, a sua volta, da sua madre Paola Musso di Salassa, moglie di Antoine Jaquet, Sottoprefetto della Valle di Susa ed esimio giurista. L’edificio era stato costruito alle soglie del XVIII secolo dal padre di Paola Musso
Il padre di Eleonora, l’avvocato napoletano Vincenzo Tango, figlio dell’avvocato Francesco e Camilla Santorelli, inizia la carriera a Torino con Antonio Tarizzo Borgialli, Procuratore della Corte dei Conti prima dell’annessione al Regno Unito, dove risiedeva tra il 1860 e 1862 anche il futuro consuocero di Vincenzo Enrico Poggi, che sarà Guardasigilli di Toscana, poi Senatore del Regno
Eleonora discende quindi per padre e madre da una dinastia di giuristi. (il figlio di Enrico Carlo Ambrogio Poggi sarà marito della sorella di Eleonora Antonietta) 


Vincenzo Tango tra la madre Camilla e il padre Francesco, 1862


Vincenzo Tango tra la moglie Paolina e la suocera Virginia Jaquet Tarizzo Borgialli, 1862

Vincenzo sposa la figlia di Antonio Paola, e mettono al mondo quattro figli. Eleonora e Antonietta nascono nel 1863 e nel 1865 a Torino, a Firenze Francesco e Virginia, nel 1867 e 1869. Infine la famiglia si sposta a Roma all’annessione al Regno.
È avviato ad una splendida carriera, che culmina a Roma nel 1897, quando diventa Procuratore Generale della Corte dei Conti, insignito con l’onorificenza di Commendatore dei Santi Maurizio e Lazzaro e Commendatore della Corona d’Italia.
Aveva anche grande passione per l’arte, e lui stesso si dilettava a dipingere. La casa romana del Tango, notissimo anche a Napoli, sarà quindi frequentata dai giovani artisti e intellettuali partenopei, al seguito del parente Roberto Bracco, tra i quali D’Annunzio, Michetti. Scarfoglio, Matilde Serao. 2)


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ALPIGNANO. C’ERA UNA VOLTA… 

Nella fertile campagna nei pressi di Alpignano, dalle cascine, alcune delle quali comprendevano case rustiche affittate a fattori, provenivano i prodotti agricoli destinati al mercato: la Colleria, il Ghiaro, il Tale, il Sassetto, la Ferna, una casa colonica in via Sommeiller, un terreno con casa rustica in provincia di Rivoli. Il centro di raccolta era ad Alpignano, per l’invio dei prodotti a Torino.
Durante la Campagna d’Italia la parte meno nobile era stata adattata a fureria, mentre nella casa erano sistemati gli ufficiali. Ospiti illustri di Jaquet furono Napoleone Bonaparte e Marie Henri Beyle, giovanissimo sottotenente IV Dragoni, noto con lo pseudonimo di Stendhal.
Fino all’epoca della mamma di Eleonora, la famiglia viveva a Torino e durante l’estate e l’autunno si trasferiva alla vicina Alpignano, zona di villeggiatura all’epoca, resa salubre dalla Dora Riparia che lo attraversava e dal vicino monte Musinè. Fioriscono molte ville per le vacanze dei torinesi, come villa Ratti dei conti Pinelli, Villa Meana, villa Levi-Montalcini.
Il controllo della produzione agricola era sempre condotto per linea femminile. Dopo la Grande Guerra vengono cedute tutte le cascine, e la casa con il suo splendido giardino rimane approdo estivo della famiglia.


Cesare Tallone a 32 anni, 1885



Eleonora con la rosa a 25 anni, Alpignano 1888

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Subito dopo il matrimonio di Eleonora con Cesare Tallone, a Roma il 18 aprile del 1888, in cui fa loro da testimone il torinese Filiberto Petiti, pittore del gruppo della “Campagna Romana”, Tallone chiede una licenza all’Accademia Carrara, dove regge la Cattedra di Pittura dal 1885, e si reca con la moglie ad Alpignano per dirigere i restauri. 3)


Bozza eseguita da Cesare Tallone per la partecipazione alle nozze

 


Cesare Tallone a 36 anni all'Accademia Carrara, 1889 (foto scattata dall'allievo Giuseppe Pellizza da Volpedo)

 Se Cesare Tallone è da sempre anticonformista per natura, Eleonora, educata in un ambiente scandito da orari e cerimonie, diventa anticonformista per elezione.
L’Arte diventa protagonista in famiglia e i loro figli saranno tutti toccati dalle Muse. E gli ospiti tutti artisti, a Milano come Alpignano: a turno gli allievi e colleghi del nonno, ed entrato il ‘900 Zygmunt Perkowicz, Oreste Ferrari, Carlo Pinelli, Sibilla Aleramo, Dino Campana, Cesare Pavese...
 
Vedi nel sito archiviotallone le biografie dei fratelli Tallone

 

LA CASA MADRE 


La casa di Alpignano, facciata esterna su via Arnò



Situata nella stretta via Collegno -poi via Arnò dal 1939- la casa affacciava, al lato opposto, sull’enorme terreno ricco di vigneti e alberi da frutta dei proprietari del castello di Alpignano, i conti Abelli. Una stupenda vista per le nostre finestre. Dall’esterno, un grande portone accedeva direttamente al giardino, mentre un’unica porticina era l’ingresso dell’edificio.
Era l’esatto specchio della nostra casa quella dell’ingegnere Riccardo Arnò, esimio ricercatore, pioniere nel campo dell’elettrotecnica, docente per un trentennio presso la cattedra ad hoc del Politecnico di Milano: la casa “magica” Arnò, dove si riunivano scienziati, mesmeristi e spiritisti tra ‘800 e ‘900 inoltrato.
Probabilmente le due case, all’origine, facevano parte di un unico complesso. 4)


Gigliola Tallone, disegno dalla finestra della mia camera del panorama sui terreni Abelli in pieno temporale settembrino

 

 

ENTRATE CON ME 

La severità di quella antica facciata un po’ ingobbita, si dissolveva una volta in giardino, dove i muri robusti erano quasi completamente coperti da enormi oleandri bianchi e rosa. L’edificio ad un estremo si prolungava ad angolo retto con un corpo più breve. Una lunga balconata al piano alto e l’ala con il portico rustico, alleggerivano la struttura. Giallo antico, poi ridipinta con un rosso pompeiano, poi tornata ad essere gialla com’era con mio padre e i miei zii Tallone da bambini e forse all’origine. Affacciava sul giardino “segreto”, cui si accedeva oltre l’enorme tavolo di pietra con lunghe panchine, all’ombra di un pergolato d’uva americana. Pochi scalini e un piccolo cancello ed eri in un’altra dimensione: aiuole, fiori selvatici portati dal vento, piante ombrose, un’enorme palma svettante al centro, sparse aiuole profumate. E tante piccole panchine e tavoli di pietra o di sasso con la forma già regolata dalla natura. E tutto questo era strettamente abbracciato da una doppia muraglia, prima di glicini, poi di rose. Con grande dispiacere per ragioni di umidità infiltrata, il giardino originale venne eliminato, salvando però il roseto, la palma e altre piante.


Casa di Alpignano, ala col porticato


La trebbiatura coi bambini Tallone, 1900 c.


Le tre sorelle Ponina, Milini e Teresa coi bambini, alle loro spalle si scorge il giardino antico, metà anni’20

 

Da vialetti di ghiaia ai fianchi del giardino “segreto”, si accedeva al grande prato curatissimo, mosso da cespugli di fiori multicolori, macchie di dalie scure e vellutate, zinnie giallo zafferano, piante d’alloro e melograni e salici e un magnifico “albero di Giuda”.
Indimenticabile il profumo di menta silvestre nella calde notti di Alpignano.
Tra il’59 e il ’60, lungo il muro che separava dalla casa degli Arnò, zio Guido aveva fatto costruire una massicciata con rotaie per sistemarvi la locomotiva Chivasso-Torino.


Io e zio Guido mentre controlliamo la massicciata in giardino

 

 Venivi poi guidato in un vialetto ombreggiato da un pergolato d’uva bianca, piccola e profumata, affiancato a sinistra dall’orto, alla cui guardia era la casetta dei custodi con un’area coperta per gli animali, e a destra da filari di peri e fitti noccioli.
Infine, appare il viale scuro e fresco di carpini antichi, con uno stretto prato selvatico a sinistra e, a destra, l’asparageto e il vigneto, anfitrioni dell’enorme prato con i possenti noci. Il 1957 zio Madino si era trasferito da Parigi ad Alpignano, dove fece costruire la casa e la stamperia proprio prospiciente il grande prato.


Cesare Tallone con un amico e le loro biciclette

 

I nove figli Tallone hanno imparato tutti ad andare in bicicletta nel giardino di Alpignano, e così noi nipoti. Il padre Cesare, un vero appassionato di ciclismo, regalava ai figli maschi e femmine una bicicletta nuova man mano che crescevano…

 


Io in bicicletta nel giardino


Con l’asinello. Da sin. in basso: Donatella, io, Serafino. In alto Laura, il terzo Nando Pinelli, 1953

 

IN CASA


Posso descrivere la casa tanto amata, in ogni suo più minimo e intimo particolare, essendo stata abitata, dal 1946 al 1967, l’anno della morte dello zio Guido, solo dalla mia famiglia, mio padre Ermanno, mia mamma Wanda, io e le mie due sorelle Laura e Donatella. La sola che l’abbia abitata anche d’inverno, gli anni che fui residente ad Alpignano per assistere zio Guido e ancora per breve tempo con le sorelle e la mamma finché la casa venne svuotata da un vandalico furto, rimasti solo pochi mobili. La violazione della nostra casa, da tre secoli carica di storia, memoria e affetti famigliari, compiuta dall’avidità di mani miserabili, è stata una ferita mai più rimarginata, ancora più profonda perché quell’atto avvenne poco dopo la morte dell’amatissimo zio che ne aveva cura commovente.

Voglio ricordarla com’era in tempi felici della mia infanzia e gioventù.


Spannocchiando: l’amico Giancarlo, io e mia sorella Laura, primi anni ’50

 

Lungi dal fare un inventario, cammino col ricordo tra le cose care, le accarezzo con lo sguardo, le sfioro come tante volte nei gesti quotidiani.

Al piano terra era il gran salone, cieco da un lato, e invece illuminato da finestre di vetri piombati sul giardino.
V’era un’alzatina francese inizio ‘700, le ante in cuoio dipinto con i dodici mesi dell’anno, forse il più bel mobile che abbia mai visto, e son figlia d’antiquario.
A seguire, uno stretto passaggio con la porta sul giardino, giusto in fronte a quella della cantina. Poi un piccolo ambiente con un bel cassettone e stampe antiche serviva anche le scale: salita la prima rampa era la porta d’ingresso da via Arnò, per proseguire su per gli antichi scalini di pietra fino al piano superiore. La sala da pranzo, accessibile ancora dal giardino, era la stanza più frequentata da noi e i sempre presenti ospiti. C’era un grande camino, d’estate con la bocca coperta da una tela dipinta da zio Guido con un Caprioletto, portata da un suo viaggio in India, la cui scritta ci aveva fatto imparare a memoria “Caprioletto o Muschio Kankil dal Teatro Universale India 1837”, mentre nelle notti più fresche facevamo il vin brulè.
Sul massiccio mobile Barocco-piemontese poggiava un perenne vaso di rame colmo di Dalie e Zinnie del giardino, che mia mamma rinnovava sempre, forse abitudine trasmessa da mia nonna Eleonora, ereditata dalla mamma sua e così indietro di secoli…
Il mobile era sistemato in una nicchia del muro da cui sporgeva la rotondità di una grossa pietra. Deliziosi quadri delle quattro stagioni, due oblò con uccelli impagliati immersi in un ambiente campestre dipinto, un divano rigidissimo ‘800, un tavolo con sedie ottocentesche, una panca impagliata del primo ‘700 sotto un finestrone, una splendida porta dorata che dava alla cucina.

 Gigliola Tallone, disegno della sala da pranzo, 1968

 

 La stanza successiva era l’enorme cucina con finestre in alto su via Arnò.
Qui la vecchia cucina a legna, il lavandino di pietra, la ghiacciaia di legno foderata di zinco in cui mettere i pani di ghiaccio, un mobile con scaffali, un monumentale tavolo che aggiunse zio Guido e due alte angoliere verde pallido con impresse “a fuoco” le iniziali AJ di Antonio Jaquet. Quanti piccoli particolari mi assalgono! Non c’erano le comodità di oggi, ma gli oggetti utilitari erano dei veri capolavori artistici. Ricordo il ferro da stiro che mia nonna materna Anita usava, pesante ed alto, di ferro traforato, con un manico di legno e lo sportello in cui si mettevano le braci. Persino il vecchio straccio grigio e pesante da trascinare con un grosso spazzolone mi commuove.
Da lì si accedeva ad un cortiletto coperto e una stanza-ripostiglio, infine erano due ambienti, uno per il ricovero della legna e l’altro per le botti del mosto.
Al piano superiore, nel pianerottolo al termine delle scale, giusto di fronte, una porta conduceva al balcone con la ringhiera con il pavimento di legno e un’altra porta a sinistra si apriva all’infilata tipica del ‘700 delle quattro stanze con rigidi letti e austeri mobili Impero e Luigi XV. La prima era la mia: un letto impero, con una sovracoperta di damasco coi riflessi dorati, a righe longitudinali e piccoli fiori, che lo zio aveva fatto confezionare a Venezia-Alpignano e Venezia, i suoi luoghi del cuore- di fronte al letto un divano rosso dello stesso periodo; una scrivania, lì leggevo scrivevo disegnavo, sotto la finestra che dava a via Arnò, con le massicce imposte di legno nella profondità delle mura. Per serrarle si agganciavano a una spessa sbarra di ferro. Una preziosa stufa di ceramica verde e un’altra finestra verso il balcone, che mi divertivo a scavalcare, con la panoramica del giardino. La stanza “dei genitori” aveva un sontuoso letto “Retour d’Egypt”, con sfingi e zampe di leone, un cassettone del ‘700, un enorme armadio con le ante dipinte dallo zio Guido, con stampelle di legno dal braccio centrale lunghissimo, un altro cassettone più piccolo di fianco alla grande finestra su via Arnò, e l’accesso diretto al balcone. Sul quel gradino di pietra tante volte ho visto mio padre seduto il mattino a godersi i raggi del sole, immerso nei suoi ricordi.
La terza stanza di mia sorella Laura: un altro grande armadio, un letto con la spalliera in ferro battuto, una stufa -l’unica veramente funzionante- un cassettone su cui poggiava uno specchio “a dondolo” e un orologio con un angelo dorato, che fu uno dei miei primi dipinti. Vi era anche una splendida cassaforte a “Bambocci” del ‘600, forse genovese. Infine illuminavano la stanza una finestra sulla strada e una piccola verso il balcone.


Gigliola Tallone, l’orologio con l’angelo dorato

 

L’ultima stanza, la più piccola, della sorella Donatella, che era stata in passato la stanza dello zio Cesarino bambino, era arredata con un tavolo rustico, dove zia Virginia, che tornava ad Alpignano talvolta ad autunno inoltrato, quando noi rientravamo a Milano per l’inizio delle scuole, aveva provocato un piccolo incendio rovesciando un fornelletto: niente di preoccupante per l’indomita zia, se non l’impronta permanente del buco in mezzo al tavolo. E ancora, un letto con la testata in ferro battuto, nero con alcuni elementi dipinti, una semplice astanteria però con rarissimi libri appartenuti all’antenato Jaquet. Aveva una sola finestra sull’esterno e una porta. Di lì, scendendo alcuni scalini di pietra, si giungeva ad un pianerottolo coperto vicino al piccolo bagno con un piccolo camino, una piccola vasca, un piccolo lavandino, un piccolo “servizio”, un piccolo specchio e una piccola finestra: sembrava il bagno delle bambole con cui giocavo da bambina. Infine, sulla destra si accedeva salendo pochi scalini al lungo balcone che percorreva tutta la facciata. Sempre dal pianerottolo, un breve corridoio terminava nel porticato con tozze colonne di pietra nell’ala breve della casa-dove organizzavamo ingenui spettacoli nelle serate estive- e, dopo altre stanze-ripostiglio, ecco la casa-studio di pittura di zio Guido, aggiunta posteriormente, che aveva anche un accesso indipendente dal giardino.

Dopo la tragedia dell’ultima guerra, la cantina, anzi cantine in due ambienti separati, non è stata mai più usata in memoria dei dieci infelici lì sotto colpiti da un bombardiere americano, Milini Tallone Ferrari e la figlia Allegra e 8 vicini, risparmiati solo la sorella di mia nonna Virginia riparata dall’unica parte della volta che ha retto, e un neonato protetto da corpo della madre.


Io nel porticato vicina ai resti del vecchio pianoforte


Guido Tallone, il bosco della nonna

Negli anni ’50 era stata ricostruita l’ala crollata, il salone e due stanze superiori e creato un altro bagno ampio. Al piano terra i pavimenti del salone e la sala da pranzo erano di cotto e nella cucina di lavagna -o di simile materiale- e, dopo l’artistico restauro di Cesare ed Eleonora, per ognuna delle quattro stanze “antiche” superiori, un diverso pavimento: la prima stanza, la mia, a sinistra dalle scale, di mattonelle invetriate rosse e nere, rimaste originali dalla fondazione, la seconda stanza di grandi formelle grigie, la terza e la quarta di cotto. Non molto diversa doveva essere la casa da quando i miei nonni l’avevano abitata a come l’ho conosciuta io, prima del furto avvenuto poco dopo la morte di mio zio Guido, che curava la casa materna con l’affetto e la cura riservata a una persona amata. Aveva provato a rimodernarla aggiungendo dei caloriferi per renderla più accogliente d’inverno, ma alla prima gelata saltò tutto. Lo zio, convinto che la casa si fosse ribellata a tanta modernità, fece togliere i caloriferi…
Le mura possenti, nell’infilata di stanze del piano superiore che ricevevano la morbida luce dal giardino, accoglievano nella mia camera i ritratti di mano anonima di Antonio Jaquet in divisa napoleonica-preciso a mio padre negli occhi dorati e ridenti-di fronte a quello della moglie Paola dallo sguardo severo, vestita a lutto e con una cuffietta anch’essa nera. C’era, in quella stanza, un effetto spettacolare: a una certa ora la luce del sole, filtrata nello stretto spazio tra i due battenti delle persiane, proiettava sul soffitto, in modo un po’ discolorato, quello che passava per strada, carretti coi buoi, passanti a piedi o in bicicletta, cani solitari. Tale era il mio divertimento segreto che lo confesso per la prima volta, timorosa allora di condividerlo in famiglia e di rischiare di farne una sala cinematografica per tutti. Nella terza stanza, il ritratto di Paola, detta Paolina, madre di Eleonora, ritratta in età avanzata anche dal genero Cesare Tallone.


Cesare Tallone, ritratto della suocera Paolina

 

Nel salone al piano terreno, ricostruito da mio zio Guido esattamente come l’antico crollato, faceva bella mostra la nostra antenata “Madama Muss la Bela”, Cecilia Musso, vissuta alla corte di Luigi XIV. Ritratto non di grande mano, forse di un pittore di provincia, ma molto sincero. La piccola parrucca bianca, il volto sereno dagli occhi scuri e attenti, un nastrino nero al collo con una spilla di brillanti, col vestito tipico della moda inizi ‘700, dal bustino stretto a punta e scollo diritto. Si era salvato dal bombardamento ma non dalle rapaci mani dei ladri…
Eccoci arrivati “indietro” dove affondano le mie radici, di cui la casa, che torna spesso nei miei sogni, era il simbolo: 

Io sono una pianta con radici profonde
nella fertile terra dei miei antichi padri
ctonia urgenza verso la luce
della linfa in rinata memoria


Gigliola


Schizzo di Guido Tallone con la piantina della casa, 1932

 

 

NOTE 

1) Avendo, come si suol dire, smosso le acque, con una fatica superiore a quella di Mosè nel Mar Rosso, a meno di un anno dalla pubblicazione del mio “catalogo ragionato di Guido Tallone, Skirà 1998”, molti nuovi documenti mi raggiungono come manna dal cielo. Tra loro la nostra Sibilla, tramite i suoi studiosi, mi aggiorna e conforta coi suoi splendidi pensieri sui di noi e in particolare su mia zia Teresa, di cui parla con l’anima in un suo diario inedito “ E che m’abbia voluto bene, lei alata, lei purissima, abbia creduto in me, m’abbia difesa contro vili insulti, è uno dei teneri e fieri titoli d’onore che porterò in me fino alla morte, quanto essere stata benvoluta ed amata da un Gorki, da una Duse, da un Rodin, da un Onofri…”
Giuditta (Ponina) Tallone ricordava una terribile sfuriata, a cui aveva assistito in lacrime da bambina, di Enrico Somarè, allora fidanzato con Teresa che sposerà nel 1919. Una scenata violenta di gelosia per l’affetto esclusivo di Teresa e Sibilla. Del resto Somarè non era un Tallone. Per noi sono irresistibili le persone vere e innocenti, quelle che hanno bocca, occhi e cuore perennemente collegati.

 2) Il brillante Vincenzo Tango, ci lascia libri giuridici a testimonianza della sua erudizione-nei suoi testi poetava anche in latino- e spirito partenopeo. Suo fratello Giuseppe era ingegnere del genio militare e pittore, presente all’Esposizione Nazionale di Roma del 1883 insieme a Cesare Tallone, mostra in cui Tallone eccelle, esaltato da critici, artisti, commissione e pubblico. Eleonora, a Roma, stringe amicizia con Matilde Serao, amica e collaboratrice di Roberto Bracco, parente dei Tango, discendente anch’egli dalla famiglia Liguori di Sant’Alfonso.

Vincenzo Tango (Napoli 1832- Roma 1902) Figlio di Francesco Tango e Camilla Sartorelli; Vincenzo Tango, “Della responsabilità Pecuniaria imposta ai Pubblici Ufficiali verso lo Stato, commento all’articolo 67 della legge 17 febbraio 1884 n.2016 (nota come il 1/5 dello stipendio)”, Tipografia Fava e Garagnani, Bologna 1890.
Giuseppe Tango nasce a Napoli nel 1839. Ingegnere e pittore, partecipa con Cesare Tallone alla Esposizione Nazionale di Roma del 1883, all’Esposizione Generale Italiana in Torino del 1884 e al concorso per la cattedra alla Carrara di Bergamo nel 1885. Non si conosce la data della morte perché si ferma al 1900 l’anagrafe storica di Napoli, occorreranno altre indagini.
Tango Giuseppe, Considerazioni di ordine estetico ed artistico circa il monumento nazionale a Vittorio Emanuele 2. da erigersi in Roma, Boscomarengo : Tip. del Riformatorio di Giovanetti, 1882 Tango Giuseppe, Relazione intorno al progetto per il monumento nazionale a Vittorio Emanuele in Roma presentato a l concorso dal capitano del genio Tango Giuseppe, Alessandria,Tip. Gazzotti e C.,1883

 2) Roberto Bracco, Napoli 19-9-1861, 21 aprile 1943, figlio di Rosa De Ruggiero e Achille Bracco. Parente dei Tango, fu giornalista e collaborò al Mattino di Napoli con Matilde Serao, amica di gioventù di Eleonora e Virginia Tango. Noto commediografo, Senatore per breve tempo, per la sua vicinanza ai democratici fu inviso al regime fascista, che praticamente cancellò tutti i suoi cartelloni. Legato da intima amicizia con Virginia Tango Piatti, sorella di Eleonora, pacifista, scrittrice e giornalista schedata dalla polizia politica fascista, fuggita a Parigi nel 1933, che aveva cercato in ogni modo di far trasferire Bracco a Parigi, tenendosi in contatto con lui con una copiosa e interessante corrispondenza.
Antonio Jaquet Nasce a Chaumont (Chiomonte) 1770 - Alpignano 28-2-1882 Avvocato, deputato del corpo legislativo in Parigi, giudice regio d’Exilles e di Chaumont, amministratore civile di Susa e Provincia in qualità di vice intendente, poi Sottoprefetto, Commissario di guerra e membro del corpo legislativo piemontese. Fu autore di un avvincente testo socio economico e demografico della valle di Susa, anno X, calendario rivoluzionario 1802, de l’Imprimerie National, Turin, e dette il suo contributo di studioso alla costituzione del Codice Napoleonico. Marito di Paola Musso, genitori di Virginia Jaquet.
Vedi anche nel mio sito www.archiviotallone.com Ricerca anagrafica e storica degli antenati Tango

 3) Cesare Tallone Savona 11.8.1853-Milano 21-6-1919, Eleonora Tango Torino 10.10.1863-Milano 24-4.1938. Grazie alle memorie di famiglia e le annotazioni di Cesare Augusto, poche ma importanti (Cesare Augusto Tallone, Fede e Lavoro, memorie di un accordatore, Milano, presso l’autore, 1971) e alla mia annosa ricerca nei meandri più inaccessibili degli archivi e cimiteri di mezz’Italia, ricerche affrontate per la mia monografia di Cesare Tallone, ipotizzo che il tramite di Cesare Tallone col padre di Eleonora sia stato Filiberto Petiti, che viveva a Torino in tempi coincidenti con Vincenzo Tango ed Enrico Poggi, poi Guardasigilli di Toscana e Senatore del Regno, che sarà futuro consuocero di Cesare Tallone, il figlio Carlo Ambrogio Poggi avendo sposato la sorella di Eleonora Antonietta.
Figlio di Giuseppe Petiti, attivo nella pubblica amministrazione, Filiberto è avviato egli stesso a questa carriera, come funzionario dei beni demaniali a Firenze nel 1867, dove anche il Tango è trasferito, allora caposezione della Corte dei Conti; infine Filiberto approda a Roma nel 1874 per dedicarsi solo alla pittura. La sorella di Cesare Tallone, Giuseppina Natalina, moglie di Giovanni Scribante, vive a Firenze da quell’anno, infine sarà a Roma con la famiglia.
Filiberto Petiti (figlio di Giuseppe e Giuseppina Chiarando) Torino 14 novembre 1845-Roma 26 luglio 1924. Nel 1873 riceve un importante riconoscimento alla Promotrice Fiorentina. Si stabilisce a Roma dal 1874, dove si dedica alla pittura e all’acquarello. Dal 1878 entra a far parte dell’Associazione degli Acquarellisti di Roma. Espone con Cesare Tallone all’Esposizione Nazionale di Roma del 1883, Esposizione Generale Italiana in Torino, 1884; Esposizione dell’Accademia di Belle Arti in Milano, 1884. Più notizie in Gigliola Tallone, Cesare Tallone, Electa 2005: n.15 p.76; n.88 p. 78; n.416 p. 85. La notizia riguardante la presenza di Enrico Poggi a Torino è stata da me acquisita dopo la pubblicazione della monografia di Cesare Tallone, Electa 2005. Proviene dalla Prof. Giulia Poggi, Ordinario di Letteratura dell’Università di Pisa, che ringrazio.

 4) Riccardo Arnò (Alpignano 1867 - Torino 1928).
Ordinario al Politecnico di Milano per un trentennio, fu collaboratore di Galileo Ferraris (1847-1897). Abitava con la famiglia in Alpignano durante l'estate, nella casa di sua proprietà, sita nei pressi della Chiesa di San Giuseppe, di fianco alla casa Tallone. Quel primo tratto di Via Collegno divenne via Arnò in suo omaggio nel 1939. Fu coautore di Galileo Ferraris dell’opuscolo scientifico del 1896 “Un nuovo sistema di distribuzione elettrica di energia mediante correnti alternate”, e pubblicò un articolo a ricordo della figura di Ferraris appena scomparso: Riccardo Arnò, Galileo Ferraris, L’Eclairage Electrique, Torino 1897.
All’epoca a cavallo tra ‘800 e ‘900, il confine tra scienza e occultismo era sottile, specialmente nell’ambiente immerso nel campo degli studi dell’elettricità e il magnetismo. Mio padre e zio Guido erano intimi amici di Kita Arnò, figlio di Riccardo, che frequentai spesso ad Alpignano, matematico e astrologo, amico di Gustavo Roll. Ho fatto dono al comune di Alpignano della mia ricerca su Riccardo Arnò presso il Politecnico di Milano.

 Alessandro Cruto, (Piossasco 24 maggio 1847 - Torino 15 dicembre 1908).
Parlando di Alpignano, non si può fare a meno di accennare ad un personaggio che ci aiutò a veder chiaro, legato, nella comune passione per l’elettricità, al fisico Arnò. Sarà questo paese ad illuminare la mente? Spirito geniale di ricercatore, si dedicò alla ricerca scientifica per risolvere il problema della cristallizzazione del carbonio. Ispirato dalle idee sull’elettricità di Galileo Ferraris, nel 1879 si dedicò alla creazione di un filamento per le lampadine elettriche ad incandescenza e l'anno successivo produsse un filamento innovatore con un coefficiente di resistenza positivo. Nel 1882 ottenne enorme successo con la lampadina di sua invenzione all'Esposizione di Elettricità a Monaco di Baviera, poi all'Esposizione Nazionale di Torino del 1884, tanto che riuscì a vendere il progetto in Francia, Svizzera, Cuba e Stati Uniti. Impiantata ad Alpignano una fabbrica di lampadine, più adeguata di quella di Piossasco, ne tenne la direzione fino al 1889. L'industria di Alpignano venne poi assorbita dalla Philips nel 1927. Sono stata l’orgogliosa tramite per una donazione al Museo della Lampadina di Alpignano, della collezione del Dott. Marco Albera, storico e vicedirettore dell’Accademia Albertina di Torino. Occasione che verrà celebrata nell’inverno 2006.