Giovedì 4 Novembre 2010

Dino Campana e i Tallone: un anno col poeta

Traccia della conferenza incentrata sul rapporto della famiglia Tallone con Sibilla Aleramo e Dino Campana, tenuta a Firenze, Biblioteca Marucelliana, giovedì 30 settembre 2010 ore 17.
dal libro di Gigliola Tallone, Virginia Tango Piatti “Agar”. Una vita per la pace. La vita, le opere, la corrispondenza. Ed. Transfinito sett. 2010.

Lettera di Dino Campana, Marradi Agosto 1917, prima e quarta facciata.

Sibilla Aleramo definisce nei suoi Diari la famiglia Tallone, il cui capostipite è mio nonno Cesare Tallone, come “una delle più singolari famiglie ch’abbia conosciuta”.
Intima di mia nonna Eleonora - nobile per nascita a anticonformista per elezione, nata Tango, figlia del Procuratore generale della Corte dei Conti - Sibilla si rivolge a lei nei tormentati momenti che segnano la fine della relazione con Dino Campana. Ci frequentava dalle soglie della Guerra Mondiale, secondo Cesarino Tallone, uno dei 7 figli di Eleonora, dal 1912, a Milano, nella casa di via Borgonuovo 2, che la nonna aveva chiamato “Maison Rustique”, un ex convento dei Cappuccini che sarà la sede stabile della famiglia dopo 16 traslochi in 8 anni, per l’irrequietezza dei 4 figli maschi, libertà che secondo i miei nonni valeva bene qualche trasloco.
Nella casa era convivio perenne di artisti e intellettuali, colleghi e allievi adoranti di Cesare Tallone che dirigeva la Cattedra di pittura e del nudo dell’Accademia di Brera dall’aprile del 1899, anno che fu dichiarato nullo e ripetuto su richiesta degli allievi, per la natura innovativa e rivoluzionaria dell’insegnamento di Tallone. La fama di grande ritrattista e del suo insegnamento liberale è già nota al suo approdo a Brera, per i 14 anni trascorsi a dirigere, - e innovare, portandola a livello di altre più prestigiose accademie italiane - la Cattedra alla Carrara di Bergamo, dove ebbe allievo privato Giuseppe Pellizza da Volpedo, suo affezionatissimo mentore. I suoi allievi milanesi convergono in parte nel Futurismo e in parte nel movimento Novecento della Sarfatti.
All’epoca della frequentazione di Sibilla, cari amici erano Marinetti e Margherita Sarfatti, Ada Negri, Clemente Rebora, Titta Rosa, Carrà, Boccioni; Oreste Ferrari e Enrico Somarè che sposeranno due figlie Tallone, Milini e Teresa. Raffaello Franchi - diciasettenne abbandonato da Sibilla per Campana, dopo una breve relazione, l’agosto del 1916 - era intimo amico di Cesarino Tallone, frequentato a Firenze, dove era ospite della sorella della mamma Virginia Tango Piatti, nota col soprannome Agar, giornalista, scrittrice, socia del Lyceum Club Internazionale dal 1913 e pacifista militante nel movimento WILPF (Lega Internazionale Femminile della Pace e della Libertà), dal 1920 delegata italiana e fondatrice della sezione fiorentina nella sua casa di via Fornace.
Dopo 14 cartoline (di cui una lettera) dal 12 maggio 1916, di tono sereno e affettuoso, l’11 dicembre 1916 mia nonna Eleonora, che lascia intendere forte preoccupazione e materna sollecitudine, chiede a Sibilla di inviarle un telegramma e le preannuncia l’arrivo della figlia Teresa a Sorrento. Segue un telegramma e una lettera di Teresa del 12 in cui dice di volere raggiungerla, mentre il 15 scrive da Travedona, dicendole che la sente più tranquilla. Il 19 Eleonora scrive a Firenze, chiarendo il mancato viaggio di Teresa. Le racconta che, mentre Teresa era tanto in ansia per lei, un giovane caro e amato dalla mia Milini (figlia) era morto “colpito da esaltazione e delirio”. Parla di rimorso dolorosissimo per non aver previsto e tentato il possibile per salvare “l’essere sperduto e, di conseguenza, un desiderio acuto di fare per Sibilla. Creatura più forte e di più alto valore Sibilla, ma forse lei pure lei sbattuta in un travolgente dolore”.
Si tratta evidentemente del momento più difficile della relazione con Campana e, dal tono sereno delle missive precedenti della mia famiglia, Sibilla non aveva fatto trapelare le tensioni precedenti. L’8 gennaio 1917 da Alpignano Eleonora le scrive di non pensare trascuranze e leggerezze, e le parla dell’arrivo il primo dell’anno del figlio Guido per una breve licenza dal Fronte. La guerra, le preoccupazioni per i due figli al Fronte, Guido ed Ermanno, la tragedia ancora fresca di Perkowicz, avevano probabilmente rallentato la corrispondenza, termina infatti mia nonna dicendo “domani, da Torino, le scriverò di più”. Il 31 gennaio scrive ancora della guerra, dei due figli “che l’enorme tenaglia tiene come se non fossero miei” e cede la penna al figlio Cesarino, addoloratissimo per la sorte dell’amico Zygmunt, della quale aveva avuto notizia a Firenze. Non c’è indirizzo, ed è probabilmente scritta da Alpignano. Mancano le lettere di Sibilla, e altre della mia famiglia sottintese nella corrispondenza, probabilmente questo è il periodo in cui Sibilla chiede aiuto a mia nonna per una sistemazione di Campana, che sapeva si sarebbe recato in Piemonte.
Decisa a lasciare Campana ma incapace di abbandonarlo nella sua esaltazione, per Sibilla la scelta di chiedere aiuto alla mia famiglia è quasi obbligata, poiché nessuno degli altri suoi amici avrebbe accettato, avendo tutti antipatia per il giovane, l’intima amica di Sibilla a Firenze, Matilde Marfori, in testa. Non solo, Eleonora possiede la casa di Alpignano, ereditata dalla madre, vicina a Rubiana, - un tratto che in bicicletta si copre in venti minuti - mentre la sorella Virginia abita a Firenze: Rubiana e Firenze, i due principali luoghi in cui Dino soggiorna il 1917.
Narro quindi sinteticamente nel libro questo capitolo doloroso, e in questo articolo a compendio e arricchimento, dal dicembre del 1916 all’ottobre 1917, seguendo la corrispondenza delle due sorelle Tango, Eleonora e Virginia, (corrispondenza della famiglia Tallone presso la Fond. Istituto Gramsci Onlus Roma) cui si aggiungono documenti di famiglia, ed altri da diverse provenienze.
Sibilla traccia una strategia degna di un generale, dirigendo i passi dell’ignaro Campana che lei predispone in anticipo, in modo da potersi spostare per non incontrarlo.
Questo anno terribilis andrebbe, come una commedia - o un dramma - diviso in quattro atti, inverno, primavera, estate e autunno 1917. Protagoniste le sorelle Tango Eleonora e Virginia, il messo o Mercurio Cesarino Tallone, l’amica intima Elisa Albano, che ospita Campana nella sua tenuta Granvigna, presso Almese, a un tiro di schioppo da Rubiana, dove il poeta abitualmente alloggiava a Villa Irma. Si tratta quasi sicuramente del mese di febbraio 1917.
E’ molto probabile che Dino da Elisa Albano incontri la mia famiglia, in specie Cesarino, del quale Sibilla chiede continuamente notizie, sia a mia nonna e alla figlia Teresa, sia a zia Virginia (Agar).
L’ultima volta che Sibilla vede Dino Campana prima dell’incontro nel carcere di Novara il 13 settembre, è all’appuntamento col noto psichiatra prof. Eugenio Tanzi, per intercessione del padre scolopa Ermenegildo Pistelli, confidente di Sibilla, il 22 gennaio 1917. Il ricovero, proposto dal medico, viene rifiutato dal poeta.
Il 25 gennaio 1917, chiedendo 100 lire per Campana a Angiolo Orvieto, Sibilla dice che gli ha trovato un rifugio sulle Alpi: quel rifugio non può essere che la Granvigna, poiché Villa Irma era frequentata da tempo da Dino, almeno dal 1915 (lettera a Mario Novaro, 23 ag. 1915), quindi prima di conoscere Sibilla. Certamente l’idea parte dall’amica Eleonora, perché Elisa, coltissima e amante della poesia, era riservatissima, sebbene molto ospitale, e non avrebbe accettato alcuno se non presentato da amici intimi.
E’ segno, quella cartolina a Orvieto, che Sibilla, sapendo della decisione di Campana di recarsi a Rubiana, aveva chiesto ai Tallone di trovargli una sistemazione, dove la compagnia di persone colte ed ospitali lo potessero distrarre dalla sua melanconia.
Cesarino, che studiava recitazione ed aveva ambizioni di poeta, reduce dal Fronte, unico superstite del suo plotone annientato, insieme all’amico Zygmunt Perkowicz, profugo polacco-ucraino accolto dai Tallone come un figlio, a lungo ospite ad Alpignano, violinista, pittore, che segnava instancabilmente nei suoi taccuini meditazioni filosofiche, l’agosto 1915 avevano sistemato la tenuta, arato il campo con un tiro di buoi, potato, piantato, in mancanza di braccianti partiti in guerra. Da qui forse l’idea di proporre un simile incarico a Campana. Il tristissimo periodo attraversato dalla mia famiglia per la notizia della morte dell’amato Zygmunt, il 6 dicembre 1916 a Bovisio Mombello, e l’assenza dei figli Ermanno e Guido al fronte, sono probabilmente la ragione della decisione di mia nonna, d’accordo con la sorella Virginia, intimissima di Elisa Albano, di indirizzare Campana alla Granvigna, piuttosto di ospitarlo ad Alpignano.
Altro importante ritrovamento è stata la fotografia dell’affresco di Zygmunt Perkowicz, frequentatore amato ed assiduo della Granvigna, dipinto sul muro della casa, inviatami dal nipote di Elisa Albano. Si tratta di “quelle tracce sui muri” che Campana voleva fossero cancellate, quando si offrirà con la lettera all’Albano della vigilia di Natale del 1917 di occuparsi della tenuta Granvigna.
Il 2 di marzo Eleonora le scrive che andranno ad Alpignano il principio d’aprile, il 3 d’essere contenta che Sibilla non abbia dubitato di loro, che avevano pensato molto, Teresa e lei, al suo dolore, e le confida “Pensavamo che cose nuove la avessero acuito e le nostre immaginazioni commosse vedevano un giovinetto che deve avere della bontà perché è di Sibilla”. Insomma, probabilmente mia nonna e Teresa pensavano in una riconciliazione con Campana. Aggiunge anche che le offre la casa di Milano. Il 18 marzo Teresa le comunica che Cesarino doveva passare la visita militare e quindi si sarebbero recati ad Alpignano verso aprile inoltrato.
Campana in una lettera a Sibilla del 21 marzo 1917 scritta da Villa Irma Rubiana, le dice che vuole tornare a Firenze a incontrarla “se non vieni verrò tra due o tre giorni”, ma anche, sperando che vada a trovarlo, “se vuoi vedere i tuoi amici ti accompagno”. Il 25 aprile però Campana è ancora in Piemonte, le scrive da Avigliana una cartolina “abbiamo fatto il giro del lago”. Il Lago di Avigliana, lontano da Alpignano mezz’ora di bicicletta, era una delle mete preferite della mia famiglia, e lo è stata anche nella mia giovinezza: è probabile che fosse in compagnia di Cesarino e Teresa Tallone. (21-3 e 25-4-1917 Le mie lettere sono fatte per essere bruciate)
Forse già allarmata per l’annunciato ritorno di Dino a Firenze nella lettera del 21marzo, Sibilla si mette in contatto con Virginia. Virginia Tango Piatti (Agar), in una cartolina del 4 aprile, in cui dice di non sapere dove si trovi il nipote Cesarino, l’avvisa che l’andrà a trovare mercoledì, mentre in un biglietto di poco successivo, si scusa per il ritardo all’appuntamento e “l’aspetta” domenica, probabilmente nella sua casa di via Fornace.
Gli ultimi giorni d’aprile Campana è a Firenze, invia un biglietto a Sibilla col recapito di Virginia “via della Fornace 9 (presso Piatti) Firenze”, in una busta intestata Lyceum. Senza giorno, a fine aprile, Matilde Marfori riferisce a Sibilla le parole di Virginia, “C. è calmo e mi ha espresso il desiderio di rimettersi a lavorare e rifarsi la vita” e le consegna una lettera per Campana. Matilde il 6 maggio scrive ancora a Sibilla riportando le parole di una lettera della “signora Piatti”. Le consegne per tutti sono di non dire a Campana l’indirizzo di Sibilla, persino Virginia per un certo tempo ignora dove si trovi, credendola a Sorrento. Probabilmente le lettere di Virginia venivano inoltrate a Sibilla dalla Marfori.
In questo periodo Campana scrive una dedica a Virginia, nel libro che lei usava a questo scopo, che fatalmente si trova poco distante dalle due poesie che Raffaello Franchi scrive per Agar, suo nom de plume.
Compendiando le due lettere di Virginia a Sibilla del 6 e 19 maggio, leggiamo che Campana si va persuadendo “all’idea del distacco, facendosi buoni propositi per dare di lontano, a sua volta, la tranquillità a Lei, povera signora…”. Virginia gli procura alloggio a Firenze vicino a lei, presso romagnoli, gente semplice del suo paese [Marradi], si tratta probabilmente di via dei Bastioni 6, indirizzo segnato dal poeta in una lettera a Mario Novaro (5 maggio 1917). Si trova qui, della sagace Virginia, un accenno all’ansia materna di Sibilla “so bene che deve esservi nel suo cuore un senso di accorata ansia materna per questo povero sperduto bambino di genio”. Frase che ha senso ancor più pregnante se la si collega con quella che Campana scrive a Virginia, nella lettera inedita da Marradi agosto 1917 “Signora, lei che voleva persino cercare un figlio alla Aleramo che ne trovava tanti…”.
Dino si reca spesso in via Fornace, dove si diverte a dare ripetizioni di latino alla figlia dodicenne di Virginia Rosabianca. Virginia cerca anche di procurargli traduzioni, ma ha difficoltà per l’inglese, e si premura di chiedere a un’amica [Gina Pagani] di parlarne all’editore Sandron. Chiede anche a Sibilla di passargli “sottomano” traduzioni, dice che Campana si va pian piano riprendendo.
Il principio di giugno Dino riparte ancora per Rubiana, - Matilde Marfori tiene Sibilla al corrente di ogni spostamento del poeta - dove spesso si reca a trovare Elisa Albano e molto probabilmente rivede ancora i Tallone, che avevano per meta fissa la casa ospitalissima di Elisa.
Il 31 luglio nella cartolina di Elisa all’amica Virginia, si legge “ abbiamo visto il signor Campana più volte. Povero uomo! Così privo di forza e così schiantato…”.
Da Marradi, senza data, ma segnata agosto 1917, Campana scrive una lettera a Virginia chiedendo di aiutarlo contro le persecuzioni che gli hanno rovinato la salute. Le chiede se può “cercare a Firenze un capo carabiniere che scrivesse a questo maresciallo di difendermi un po’ da queste tigri…”. Si tratta della lettera di famiglia di recentissima acquisizione, che ho fatto appena in tempo a inserire nel libro. Campana deve aver avuto in simpatia Virginia, per la sua geniale intelligenza, la sua sincerità scoperta e l’utopia pacifista che assorbiva ogni sua energia, e non ultimo, per la comune antipatia nei confronti dei Lacerbiani, che Virginia richiamava alla responsabilità per la loro nefasta foga guerresca, nei sui articoli giornalistici alle soglie della Guerra Mondiale, rimasta quasi la sola intellettuale non interventista.
Dino si chiede dolorosamente “Perché devo essere una povera pelle su cui tutti hanno tutti il diritto di battere?”. Nella lettera acclude i saluti di Kociemski e Wilson, il primo era polacco, traduttore e giornalista, amico e collega di Virginia al “Nuovo Giornale” di Firenze, del secondo non ho cognizione. Forse la sollecita, determinata e generosa Virginia gli ha risposto, forse quella lettera della vigilia di Natale a Elisa Albano l’ha suggerita lei, non sappiamo, manca eventuale corrispondenza.
Mi chiedo continuamente perché Sibilla, così sollecita verso tutti, persino a rispondere alle centinaia di lettere scritte da estranei combattenti al fronte, non abbia voluto, senza intervenire di persona, chiedere aiuto quando Campana viene internato in manicomio, come aveva fatto con Gonzales, per fargli ottenere il foglio di via al carcere di Novara.
Cosa vorrà dire Campana con la frase scritta più in piccolo, come se fosse aggiunta a lettera finita, “Chercher le curè?”. Espressione generica o riferimento a un prete in particolare? Pensava forse che si fosse messa in atto una congiura per rinchiuderlo? Mania di persecuzione o presentimento con fondamento? E chi erano le tigri che lo perseguitavano?
Procedendo nello studio dei documenti, mi sono sentita sempre più in sintonia col poeta, mentre sentivo una profonda delusione nei confronti di Sibilla, amica affettuosa, generosa, affascinante, che mia nonna e tutti i Tallone, anticonformisti per natura, mai si erano sognati di riprendere per le compulsioni amatorie, ritenendole un surrogato di quell’affetto figliale che le era mancato. Mi sono accorta di fare lo stesso cammino emozionale, in empatia con mia nonna, che era a conoscenza anche della disperazione dell’adolescente Franchi.
Tre soli comandamenti, i figli di Eleonora e Cesare hanno trasmesso alla mia generazione: essere sé stessi, non cedere a compromessi, essere responsabili specialmente dei più giovani e deboli. Sibilla ha infranto il terzo comandamento. Mia nonna credeva che la relazione si potesse riallacciare. Qualche cosa si è rotta, un vuoto nelle lettere mettono in allarme Sibilla. Anche nella lettera, senza data, spedita da Milano, in cui Sibilla scrive a Teresa di inviare la posta a Urio, si legge la sua angoscia per non avere notizie, per non vedere nessuno, compreso Cesarino, dicendo che le sono tutti cari, nonostante la condanna che le è venuta da tutti, “così incredibile”. [inizio giugno 1917]. Teresa le risponde l’11 da Travedona a Urio “Sibilla non ti penso sola. Cesarino doveva vederti anche prima di venire a Travedona. Non dire che mi aspetti. Sibilla Sibilla! I miei fratelli hanno scritto e anche Somarè. Sono vicini alla guerra. Li guardo e li chiamo Teresa”.
L’amicizia non finisce, la giovane Teresa l’adora e lei adora Teresa, ne scrive pagine preziose e commoventi in Amo dunque sono, nel Frustino e nei Diari. In futuro sarà molto vicina a Madino Tallone che a Parigi presenta allo stampatore Darantière.
Per mia nonna invece l’amicizia certamente si raffredda. Fa il tentativo di offrirsi ad andare ad accogliere Campana “quel piangente” al carcere di Novara, ma, dopo una evidente risposta esasperata di Sibilla, ritira l’offerta e dice “oggi è stata proprio umiltà”. La lettera è inviata alla figlia Teresa “per Sibilla” a Tornate per Travedona il 15 settembre, dove Sibilla si reca ospite di Teresa, ospite a sua volta della mamma del fidanzato Enrico Somarè, appena lascia Novara, dal 14 al 21 settembre. Eleonora dice di non dubitare di lei, che le vuole bene, che era rimasta “sconcertata per i pentimenti per ciò che ti avevo raccontato” ripete ancora di aver creduto per “i cozzi delle idee in confusione, come mai prima, te e quel poeta”.
L’ultima lettera di mia nonna del 3 ottobre, è invece perentoria, dice di aver “rimandato il momento di scriverti. Quali parole a te che non ti senti in colpa? Pure no, no, no, non è superazione”. Le confessa di non ha mai smesso di riconoscere “una tua purezza” e di sapere che Sibilla non ha riso della sua ingenuità perché sentiva l’ansiosa tenerezza che la faceva parlare. Conclude dicendo “Però ho peccato d’orgoglio. Proprio io dovevo saperti guarire?” Come postilla scrive che la lettera sottintende anche per “i miei”, quello che le aveva scritto Ferrari. “Non scrivermi più”. La prossima lettera è del 1920 per annunciare la nascita di una nipotina.
Sibilla ha fatto l’errore imperdonabile di pensare a Campana come a uno degli intellettuali amati da lei in passato. Non si è accorta che era uno spirito elementare, una forza della natura, un vero artista. La reazione violenta di Campana il dicembre 1916 non era motivata solo dalla gelosia, ma dalla delusione e orrore che provava pensando di diventare uno dei tanti amanti destinati a divenire personaggio di un romanzo di Sibilla.
Lui stesso scrive in una sua lettera “Voi non mi farete più soffrire, non mi romanzerete più, sarete meglio di una romanziera è vero?”.
L’amore per una artista fa parte del fuoco sacro della sua ispirazione ed è chiuso in un cerchio magico intoccabile, metterlo in prosa è anche renderlo prosaico. Eppure Sibilla, che diceva delle donne Tallone essere votate al martirio, doveva capire che una donna intelligente che vive con un artista non contamina l’amore con affabulazioni intellettuali.
Per noi Campana non era pazzo, tutti i sintomi sono quelli di un artista vero: l’anticonformismo, la sensibilità acuta, la fantasia accesa, la passione di verità, e, soprattutto, la capacità di trasfigurazione della realtà, troppo limitata e banale.
Non ha avuto nessun soccorso dalla vita, una famiglia senza sensibilità, né umana né artistica, una madre incapace d’affetto, i natali in un paese, Marradi, di zotici, in fondo scusabili, perché ancor oggi il poeta dai più è considerato un perdigiorno, mentre imperdonabili sono stati gli intellettuali presuntuosi e aridi che l’hanno ignorato, osteggiato, invidiato, tradito e infine abbandonato in manicomio. E, a coronamento di tanta fatale sfortuna, era povero, e si sa, un povero che entra una volta in manicomio, ci finisce diretto appena alza la voce.
Se era pazzo Dino Campana a noi Tallone, che non di rado ci hanno chiamato “matti”, avrebbero dovuto intestare un manicomio e rinchiuderci, coi nostri collaterali, essendoci uniti sempre ad artisti, e tutta l’affollata schiera di amici artisti.
Si è compiuto un sacrificio, il sacrificio della purezza, il sacrificio di chi non rientra nel consesso di quei molti che credono di chiamarsi società civile.
Il 25 dicembre 1917 Campana scrive una lettera a Elisa Albano dove lungamente parla della sua antipatia per D’Annunzio e in cui si offre di costudire la Granvigna. Evidentemente il soggiorno al principio di quell’anno gli aveva lasciato un buon ricordo. E’ una lettera colta, sensibile, scritta a una persona di cui si considera la cultura, e molto rivelatrice dell’indole di Campana, della sua diversità dagli intellettuali che lo circondavano, così orgoglioso e così vero, così spontaneo, tanto da precludersi l’accettazione della sua proposta, data la sua richiesta di “non ricevere chi non mi piace” e di cancellare tutte le tracce sui muri, quell’affresco del povero Zygmunt morto tragicamente, di cui in Granvigna era ancora bruciante il ricordo.
Quella richiesta d’ospitalità, se fosse andata a buon fine, gli avrebbe forse evitato l’internamento al San Salvi il 12 gennaio 1918, la cui motivazione resta nel mistero per l’assenza di documentazione.
Memorabili e commoventi sono le parole di commiato di Dino Campana nella lettera a Elisa Albano, che voglio mettere a chiusura di questo sofferto articolo
“Creda che è così dolce sentirsi una goccia d’acqua ma che ha riflesso per un momento i raggi del sole ed è tornata senza nome! E non ebbe marca, nè marchi.”

Le sorprese non finiscono mai…
dicembre 2010

A due mesi dalla conferenza alla Biblioteca Marucelliana del 30 settembre e 1 mese e 20 giorni dall’articolo qui sopra, mi giunge questo documento inedito di Dino Campana, - Marradi 14 agosto 1917 - che sfortunatamente non ho potuto inserire nel mio libro. La cartolina conforta le deduzioni già accennate sopra, dell’amarezza provata da mia nonna Eleonora per non aver potuto convincere Sibilla a rivedere il suo comportamento “Quali parole a te che non ti senti in colpa? Pure no no no non è superazione…”.
Come facilmente si deduce dal tono della cartolina, Dino Campana, che qui si firma solo col nome, aveva un rapporto di confidenza con mia nonna Eleonora, e a lei si rivolge con un tono, seppur scherzoso e graffiante, pieno di disperazione e di richiesta d’aiuto.
Io penso, e spero, che nella corrispondenza di famiglia salgano alla luce altre carte - tra le quali qualche altra perla di Dino Campana e Sibilla Aleramo - che andranno ad aggiungersi alle centinaia di prestigiosi corrispondenti da me raccolte…
Una cosa è certa: tale è il mio coinvolgimento emotivo in questa storia fatale, che la corrispondenza mi appare come inviatami direttamente da Dino Campana!



Archivio Tallone Milano, originale Enrico Tallone

 

Inserisco qui anche una lettera di Sibilla Aleramo che si rivolge a mia nonna Eleonora, senza data ma certamente scritta negli anni1916-1917.





Archivio Tallone Milano, originale Enrico Tallone

 

Auguri a tutti i lettori di Buon Natale e felice Anno Nuovo 2011.


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Gigliola Tallone curatrice dell’Archivio Tallone
Tutte le fonti documentali nel libro e presso l’Archivio Tallone